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Una piazza che vive

  • Writer: Antonella Gagliardi
    Antonella Gagliardi
  • Sep 17
  • 4 min read

Vivere una città consapevolmente è come assistere alla crescita di un bambino, ma senza tappe né direzioni prestabilite. Puoi scegliere se trascurarlo, guidarlo o crescere con lui.

Una città può essere metaforizzata in tanti modi quanti sono gli occhi che la guardano.


In un anno e mezzo a San Severo, ad esempio, ho visto e vissuto l’attesa per il termine dei lavori di Piazza Incoronazione. Ho assistito alla sua rinascita, pronta a essere al servizio dei sanseveresi. Ma cosa ne avremmo fatto? Come l’avremmo consumata? Sarebbe diventata l’ennesima vittima della violenza che si nasconde dietro dita puntate e commenti sgrammaticati? Come previsto, fu (anche) così. Il pavimento sporco e la scelta infelice della pavimentazione, le cartacce sull’erba, gli alberi striminziti, gli scooter che sfrecciano nell’area pedonale. E poi il bagno, chiuso per sempre perché “non ce lo meritiamo”. Siamo quella classe che a scuola viene punita per il comportamento di un solo alunno.


"Servizi igienici non più utilizzabili per n. 5 atti vandalici e furto"
"Servizi igienici non più utilizzabili per n. 5 atti vandalici e furto"

“Servizi igienici non più utilizzabili per n. 5 atti vandalici e furto”. Quella parola: più. Quel più ti dice che non potrai mai più utilizzare quel bagno. Ti dice che l’amministrazione non farà assolutamente nulla per renderlo nuovamente agibile. Un “bene” pubblico completamente abbandonato. Che scelta crudele. O infantile. O, forse, soltanto un errore di scrittura… e io mi sono fatta un gran film per niente? Tutto può essere.


Qualche mese dopo, ritrovandomi di nuovo lì, qualcuno mi chiese se la nuova piazza mi piacesse. Non ci avevo mai pensato prima e, senza esitare, mi venne subito in mente un aggettivo: viva. Parlai di quanto fosse bello vederla così, viva. Le persone che passeggiano, chi si siede sul bordo della fontana a chiacchierare, chi si fa spazio sulle panchine cercando l’ombra di un albero. I ragazzini che giocano a pallone, o che addentano un pezzo di pizza.


Piazza Incoronazione: tessitrice sociale della città. Banale. Sorprendente.


Gente in piazza. Le bici: disordine o vitalità, dipende da come le guardi.
Gente in piazza. Le bici: disordine o vitalità, dipende da come le guardi.

La lente antropologica


Ma come possiamo collocare le diverse percezioni della piazza, le sue metafore e i modi di interpretarla, senza cadere nella trappola della lamentela o dell’ingenuità? Per orientarmi in questa riflessione, ho deciso di chiamare in causa l’antropologia.

Un utile punto di partenza per capire il modo in cui viviamo i luoghi è il concetto di paesaggio, elaborato dall’antropologo Eric Hirsch (1995). Nel volume Anthropology of the Landscape, Hirsch ricostruisce le origini del concetto di paesaggio a partire dalle scene immortalate nei dipinti del XVI secolo: immagini ferme di un paesaggio idilliaco a cui aspiriamo, con cui confrontiamo la realtà, quasi come fotografie senza tempo. Ma questa visione, che richiama l’idea di cartolina, non è universale. Si tratta di una concezione occidentale, che privilegia il senso della vista e orienta l’esperienza del paesaggio in questo modo. Altre culture lo vivono diversamente: come terra di conquista, come spazio sacro, o come luogo da abitare e percepire attraverso sensi differenti, come un insieme di suoni e odori.


L'analisi di Hirsch continua collocando il paesaggio tra due polarità, organizzate in questo modo:


Come siamo

Come potremmo essere

Attualità

Potenzialità

Luogo

Spazio

Dentro

Fuori

Immagine

Rappresentazione


Il paesaggio percepito di Piazza Incoronazione si manifesta come un movimento tra ciò che il luogo è e ciò che potrebbe diventare: una piazza pulita, completamente pedonalizzata e vissuta come tale da tutti, rispettata, simbolo di una rinascita sociale, economica e culturale ancora attesa. Un paesaggio non è fermo, ma è un processo culturale:


Il punto, quindi, è che il paesaggio è un processo, nella misura in cui uomini e donne cercano di realizzare in primo piano ciò che è soltanto una potenzialità e che per la maggior parte rimane sullo sfondo.

Piazza Incoronazione, come qualsiasi altro luogo della città, sarà sempre rappresentata nei nostri discorsi come una potenzialità attraverso cui manifestiamo i nostri desideri. Come osserva Hirsch, non esiste un paesaggio assoluto, ma una serie di momenti — prospettive — collegati e dipendenti tra loro, e al tempo stesso spesso contraddittori.

Questa analisi mi ha aiutata a normalizzare le lamentele e i comportamenti dei vari sanseveresi. Mi sta bene che venga vandalizzata? Certo che no. Ma, così come il processo culturale esiste tramite le azioni di chi non la rispetta, esso emerge anche attraverso le vite di chi la vive come bene comune. L’uomo seduto sul bordo della fontana che dice ai bambini: «Non si cammina sull’erba». Un gesto semplice, eppure significativo: proteggere la piazza.


Vivere la piazza consapevolmente


Il senso del luogo (sense of place, Basso, 1996) che sviluppiamo nei confronti della piazza rappresenta quindi il nostro modo di rapportarci a essa. Vivere consapevolmente un luogo è uno dei modi più significativi per entrare in relazione con esso, diventando quindi il prodotto e l’espressione del sé di chi lo vive.


Siamo cultura: non saremo mai osservatori passivi. Produciamo, creiamo, tessiamo, spesso anche inconsapevolmente. Come individui e come collettività saremo sempre in movimento in questo paesaggio idilliaco, in un’alternanza costante tra potenzialità e attualità, con la piena libertà di decidere cosa fare di questa consapevolezza.


Responsabilità o indifferenza.


Sembra una scelta semplice, vero?



Bibliografia


Basso, K. (1996). Wisdom sits in places. In Feld, S., Basso, K. (Eds.), Senses of place

(pp.53-90). New Mexico, Santa Fe: School of American Research Press.


Hirsch, E., & O’Hanlon, M. (1995). The anthropology of landscape : perspectives on place and space. Clarendon.





 
 
 

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