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Gli Ultimi Romantici

  • Writer: Antonella Gagliardi
    Antonella Gagliardi
  • Oct 1
  • 3 min read

Updated: Oct 15


Li avevo di fronte. Gli “Ultimi Romantici”. Il ritornello di una canzone, mentre sorseggiavamo un drink in piazza Andrea Pazienza, mi colpì con fastidio.

And I miss you like the deserts miss the rain

Mi manchi come ai deserti manca la pioggia.


Decisi di esprimere il mio disagio con un atteggiamento da io-so-tutto-dell'amore-e-voi-no.


Partii subito all'attacco: "Questa frase non ha senso. Al deserto non manca l'acqua. Se avesse l'acqua, non sarebbe più un deserto."


Mi chiesi immediatamente se avessi detto una cazzata. Era tutto così freddo mentre lo dissi, così estraneo. C'era una presenza che mi faceva parlare e pensare e un'assenza che non mi faceva sentire.


"Ma non è quello il senso. Hai presente quella disperazione che provi per l'assenza di qualcuno?" disse un romantico - ma soprattutto, aveva davvero appena detto 'assenza'?


Risposi tra me e me: “Sì, no, in teoria sì”. 


"Ma con la pioggia il deserto perderebbe la sua essenza. Ti rendi conto di quanto possa essere tossica questa cosa? Un classico delle canzoni degli anni '90." Un'altra bella stronzata questa cosa delle canzoni degli anni '90.


"Si tratta proprio di una passione che travolge, sconfigge, cancella la ragione", mi risposero con una convinzione che trattai con superiorità.


Mentre loro continuavano a parlare la lingua delle emozioni, io razionalizzavo tutto, anche la musica e il testo di una canzone. Lo stavo facendo in maniera così aggressiva e critica che non mi resi conto che allo stesso tempo stavo rifiutando l'esistenza del vissuto emotivo di intere generazioni, incluse la mia. Stavo diventando una brutta persona e stavo per essere felicemente sconfitta.


"Quindi voi come fate a proteggervi? Non avete paura di buttarvi in una storia da cui non riuscirete più a tornare indietro?" Dissi qualcosa del genere, e quel minimo di consapevolezza che mi era rimasta me la fece sembrare un’altra grande cazzata.


"Io so dov'è casa. Se così dovesse succedere, so come tornare a casa."


Casa.


"Mi sento solo di dirti che la struttura migliore è quella in cemento armato vibrato, ma è molto impegnativa in termini di risorse e di tempo. In alternativa, la si può costruire anche in fango e letame, come gli africani insegnano”, mi consigliarono una volta. Sì, ma la mia qual è?


Qualche mese dopo mi ritrovai a parlare agli ultimi due romantici della storiella che avevo cominciato a scrivere su quella serata. Orgogliosi di essere i protagonisti di un pezzo scritto su di loro, mi ascoltarono mentre glielo leggevo e poi ci avventurammo in un'appassionata discussione sul tema. Solo che a un certo punto sentii che uno degli ultimi romantici, il musicista, stava parlando una lingua diversa dalla nostra, anche se entrambe erano bellissime. Stava usando il linguaggio della musica per parlare delle emozioni, ovviamente, e quello si scontrava con il mio, quello della razionalità, quello che si studia e si insegna e non si sente. Dopo qualche giorno gli chiesi il favore di scrivermi cosa intendesse quando quella sera cominciò a parlare di bassi e di ritmi. E questa fu la sua risposta:


C’è qualcosa di speciale nelle linee di basso degli anni ’80. Non erano solo note, erano giri costanti che ti entravano nel corpo e ti facevano vibrare dall’interno. Quei loop ripetitivi avevano la forza di rassicurarti: ti tenevano al sicuro e ti riscaldavano.


Ci hanno insegnato a vivere un po’ così. La nostra vita procede come quelle linee di basso: un ritmo regolare, emozioni che tornano in loop, momenti che si ripetono ma che ogni volta portano con sé una sfumatura nuova. E proprio come accadeva su una pista da ballo o nell'impianto stereo di casa, quel battito costante ci accompagna e ci rende più empatici con il mondo che ci circonda.


E poi quelle linee di basso non si sono fermate lì: hanno trovato nuova vita, riversandosi nella musica elettronica che amiamo ancora oggi per gli stessi motivi. Quest'ultima inoltre diventa un rito moderno, unendo persone diverse in un cerchio collettivo dove il ritmo esorcizza i mali esterni e trasforma la pista in un luogo di liberazione e appartenenza. Insomma siamo l'esempio vivente di come la musica possa cambiare gli animi in meglio, ingentilirli e in alcuni casi, curarli.


"Sì, ma che c'entra con l'amore?" mi chiesi. Ma ormai non c'era più bisogno di parlare di deserto.


La nostra vita procede come quelle linee di basso: un ritmo regolare, emozioni che tornano in loop, momenti che si ripetono ma che ogni volta portano con sé una sfumatura nuova.


C'era qualcosa di razionale in quella frase, e mi piacque. Decisi che avevamo entrambi ragione.


La presenza e l'assenza. Una sfumatura nuova, momenti che si ripetono. Casa.


Dovevamo avere entrambi ragione.




 
 
 

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